![]() |
Storia | ![]() |
|
Forse qualcuno ha già sentito parlare di me. Parsifal, o Perceval, il Cavaliere della Ricerca, colui che ha trovato il Calice. Racconti cantati alla corte dei re, leggende sussurrate davanti ai camini nelle notti di inverno. Vicende inventate, reali, plausibili, di qualcuno che vive per un ideale, e che non ha paura di sfidare mille nemici pur di portare a termine la sua ricerca. Forse vi sorprenderà sentirmi dire che non mi sento un eroe per avere intrapreso la ricerca del Calice. La ricerca non è un'esclusiva dei paladini. Tutti noi percorriamo le strade della vita alla ricerca del nostro Graal, ciascuno pone in questa ricerca tutto se stesso, ciascuno ci vede quello che meglio crede, quello che più gli si addice. Il mio Graal era la ricerca della Maestrìa. Volevo essere valente in quello che facevo, ed ogni fallimento era una ragione per cercare di impegnarmi ancora di più: volevo essere abile, forte, audace semplicemente perché così comanda il Codice dei Cavalieri. Quando fui tra i più bravi con la spada, abbandonai l'addestramento con la spada per dedicarmi alla balestra. Poi alla lancia. Poi all'alabarda, e così via. E al tempo stesso non ho mai trascurato le arti cortesi, perché penso che la poesia sia il necessario completamento nella ricerca della Maestrìa. Dedicarsi alla sola arte dell'Acciaio istruisce la mente e fortifica il corpo, ma indebolisce il cuore, l'anima. Occorre l'Arte per nutrire lo spirito. In me convivono il cavaliere e il menestrello. Sin da quando sono stato chiamato scudiero, ho continuato questa mia ricerca, cavaliere in spirito tra i cavalieri in armi, menestrello in mezzo a giullari, bardi e cantastorie. Mi facevo vanto della fedeltà verso il mio signore, della lealtà per i miei compagni d'arme, del sorriso delle dame cui dedicavo le mie poesie e le mie canzoni. Feste e contese armate, banchetti e tornei. Battaglie contro i nemici del mio re e della mia casata. La mia fama cresceva. Questo era il mio mondo, e mi piaceva. Quando il re di un paese vicino venne da noi a chiedere il nostro aiuto non indugiai neppure un attimo. Un amico del mio re è un mio amico. Una nuova impresa, nuova gloria per arricchire il mio blasone. Partii senza indugi con i miei scudieri e altri cavalieri, alla volta di un piccolo villaggio sulle rive del mare terrorizzato dai pirati e dai serpenti di mare che avevano addomesticato. Un'impresa degna di noi. Avevamo paura, ma scherzavamo facendo il conto delle teste di drago che avremmo fatto imbalsamare per le nostre sale dei trofei. Eravamo il fior fiore della cavalleria, i migliori tra i migliori. Quando giungemmo al villaggio, accadde qualcosa che non avrei mai immaginato. Un caso, o forse un segno del Destino, o la volontà del Re dei Re. Abbassai lo sguardo, dall'alto del mio cavallo, e incrociai il mio sguardo con quello della gente che andavamo a salvare. Gente comune, bifolchi, poveracci lerci che possedevano soltanto i loro abiti e la loro sporcizia. Vidi un vecchio pescatore, la pelle cotta dal sole, accarezzarsi la barba bianca e sorridermi con gli stessi occhi di mio padre orgoglioso, il giorno in cui fui fatto cavaliere. Vidi una donna, abbruttita dal lavoro e dalla stanchezza, guardarmi come se fossi l'angelo di una vetrata della Cattedrale del Sole. Fermai il cavallo. Si fecero attorno a me, mi parlavano, accarezzavano il mio cavallo, toccavano le mie vesti con delicatezza e devozione, come se fossero state reliquie. (Grazie, cavaliere. Dio ti benedica, cavaliere). Ero stordito, commosso, confuso. (La tua bontà verrà ricompensata, cavaliere). Una bambina dai capelli biondi come una cascata di oro fuso si fece sollevare in braccio per darmi un mazzo di fiori (li ho raccolti per te, signore) e un bacio sulla guancia (grazie, signore). Non avevo sconfitto i pirati, non li avevo ancora combattuti. Non avevo neanche sfoderato la spada, eppure loro mi ringraziavano. Soltanto per avere abbassato il mio sguardo su di loro. Raggiunsi i miei compagni in tempo per il banchetto preparato per noi. Passarono la cena a prendermi in giro (ti sei fermato ad ascoltare quei plebei ? ti andava di raccogliere un po' di puzza ?), ma la mia mente era lontana. Passai tutta la notte a meditare. E il giorno dopo i pirati attaccarono, più numerosi e feroci che mai. I loro vascelli dalle vele nere solcavano il mare a decine, e in mezzo a loro scivolavano i corpi sinuosi dei serpenti di mare, con le fauci gocciolanti veleno. Li aspettavamo sulla banchina del porto, le armi sguainate, scintillanti come il nostro coraggio. Quella fu, a detta di tutti, la più gagliarda di tutte le mie battaglie. Persi il conto dei pirati e dei mostri che caddero sotto la mia spada. Le mie forze sembravano infinite, i miei riflessi rapidissimi, come se un angelo (o un demone) si fosse impossessato di me. Quando i pirati compresero di avere perduto, si diedero alla fuga, senza neppure preoccuparsi di raccogliere i feriti. Mentre i miei compagni esultavano, intonando il Canto di Vittoria dei Cavalieri, assegnai ai miei scudieri la quota di bottino che mi spettava, e abbandonai la festa per entrare nel villaggio. Cercai di nuovo la gente, i pescatori, per godere della loro gioia come il giorno prima mi ero fatto forte della loro speranza. E come il giorno prima ero stato inebriato dalle loro speranze, fui travolto dal loro amore e dalla loro gratitudine. Rividi la bimba dei fiori, e questa volta fui io a prenderla tra le braccia: " Non dovrai più avere paura. - le sussurrai, e poi lo gridai forte, agli altri - Non dovrete mai più avere paura ! "
Mi accompagno ad altri viaggiatori come me, senza badare alle loro origini. Alcuni sono cavalieri, alcuni principi o ricchi mercanti, altri sono lestofanti, imbroglioni, contadini e puttane. Da ogni incontro esco più ricco, più completo, più forte: ogni incontro è un universo completo da cui trarre almeno una lezione. E spesso le lezioni più preziose arrivano dai personaggi più insospettabili. Una contadina dallo sguardo furbo e i capelli grigi mi disse che "l'arma più letale è un pugnale nascosto". Un capitano mercenario mi insegnò che "spaventare il nemico significa averl sconfitto a metà": dopo averlo visto combattere, ho deciso di laccare di nero la mia armatura, e di aggiungere alle decorazioni rostri, teschi, e corna. L'abito non fa il monaco, ma farti credere monaco a volte dà vantaggi insospettabili. E il mio onore adesso è nel difendere i deboli, i poveri, i diseredati. E specialmente i bambini, perché sono i più fragili di tutti, perché la loro riserva di amore inesauribile è la speranza del mondo. E a volte mi sento al comando di un esercito come non ho mai avuto, perché di quelli che salvo dalla miseria e dalla violenza, qualcuno a volte decide di seguire la mia strada e i miei sogni, e mi chiede di farlo cavaliere del Graal. Eccolo, il Graal. Il Calice della Vita e della Speranza. Il Graal mi conduce ai miei orfani e loro mi conducono al Graal. Ogni volta che salvo uno di loro, ogni volta che volgo le loro lacrime in sorriso, faccio un passo verso il mio Graal. E adesso sono certo che questa è la mia strada.
|